A Bologna, nove anni dopo, l’amministrazione condivisa è diventata strutturale
“Chi l’avrebbe mai detto, quel sabato 22 febbraio 2014, quando in un’affollatissima sala a Bologna presentammo l’allora nuovo "Regolamento sulla collaborazione fra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani", che un giorno l’amministrazione condivisa sarebbe diventata un “elemento strutturale nel rapporto tra Comune e cittadini”?
Parte con questa considerazione l’editoriale che il Professor Gregorio Arena, in un interessante articolo di Labsus, dedica al nuovo Regolamento sull’Amministrazione Condivisa adottato lo scorso novembre dal Comune di Bologna.
Una particolare attenzione che ha visto Labsus dedicare una intera Newsletter di approfondimento su questa novità, perché Bologna, non soltanto ha deciso di confermare il proprio ruolo di città all’avanguardia nell’attuazione dell’amministrazione condivisa, ma addirittura rilancia tale ruolo con nuove disposizioni statutarie e regolamentari.
Le modifiche, ci segnala Arena, non si sono infatti limitate ad un restyling dopo quasi 9 anni di applicazione del Regolamento, ma hanno previsto una l’introduzione dei principi di Amministrazione Condivisa nel proprio Statuto attraverso il nuovo art. 4 bis intitolato Cittadinanza attiva e sussidiarietà.
L’articolo è di particolare importanza non soltanto perché afferma che il Comune di Bologna vuole attuare il principio costituzionale di sussidiarietà, ma soprattutto perché dice di voler fare ciò usando l’amministrazione condivisa come modello organizzativo.
Altra sottolineatura di Arena è come lo stesso articolo 4 bis dispone altresì, che il Comune di Bologna nell’attuazione dell’amministrazione condivisa “valorizza e coinvolge attivamente … gli Enti del Terzo settore, le libere forme associative, le Case di Quartiere e tutti gli altri soggetti civici formali e informali che non perseguono scopo di lucro”.
L’articolo richiama, a questo proposito, la nota di Donato Di Memmo Direttore del Quartiere Navile di Bologna che nel suo commento al nuovo Regolamento sull’amministrazione condivisa scrive: “le previsioni del Codice del TS, pur determinando delle prerogative esclusive a favore degli Enti del TS, non comportano la cancellazione di altre possibili interazioni tra l’ente locale e quelli che abbiamo chiamato soggetti civici”.
La stessa esperienza di Bologna, in questi anni, è stata imperniata su una più diffusa forma di sussidiarietà che ha trovato il suo strumento ideale nei Patti di Collaborazione.
I patti, come forma più semplice e flessibile, permettono, ad esempio, l’utilizzo di forme collaborative anche con enti non iscritti al Registro unico (oltre naturalmente a tutti gli altri soggetti civici citati al secondo comma dell’art. 4 bis), fatto messo in luce anche nell’intervista di Erika Capazzo Presidente della Fondazione di Innovazione Urbana, quando afferma che “L’importante novità introdotta da questo Regolamento è che attraverso i patti di collaborazione la gestione condivisa di un bene anche da parte di comunità e non solo enti del TS o associazioni formalmente istituite può essere una forma per arginare esternalità negative e abbandono, affidando alla gestione comune e condivisa la cura di un bene comune. Del resto per poter esistere il bene comune, che sia esso fisico o immateriale ha bisogno di un sistema di cura, che è a sua volta determinato dalla presenza di una comunità: non c’è bene comune senza una comunità che se ne prende cura e non c’è comunità capace di cura che non sia parte di un sistema di prossimità, ovvero un insieme di beni comuni che le permettono di esistere. Attorno ad un bene comune nasce una comunità ma serve una comunità per avere un bene comune”.
Gli spunti che il Professor Arena ci offre, nella sua analisi, ci offrono una vision della nuova frontiera della sussidiarietà applicabile non solo a Bologna, ma in ogni amministrazione in cui si voglia arrivare ad un vero coinvolgimento dei cittadini e ad una democrazia matura.
L’invito è quindi alla lettura dell’articolo integrale.
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