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Il Dibattito Pubblico in Italia rischia di essere cancellato

Qualora la riforma del Codice dei contratti pubblici venisse approvata senza modifiche sostanziali, potremmo dire conclusa, nel nostro paese, l’esperienza del Dibattito Pubblico come strumento di democrazia deliberativa di Agnese Bertelli

È una storia travagliata quella del Dibattito Pubblico in Italia. Una storia che sembra destinata a finire in maniera repentina. Qualora venisse approvato, senza modifiche sostanziali, lo schema di riforma del Codice dei contratti pubblici in discussione in questi giorni nelle Commissioni di Camera e Senato, potremmo infatti dire conclusa, nel nostro paese, l’esperienza del Dibattito Pubblico come specifico strumento di democrazia deliberativa. L’unico previsto a livello nazionale. Se vi state domandando cos’è, il Dibattito Pubblico, voglio rassicurarvi: non è colpa vostra. È che non c’è stato il tempo, o il modo, o forse la volontà, di presentarvelo. Mi prendo, quindi, un po’ di spazio per farlo adesso, prima di passare alle intricate vicende di cronaca.

Parte così l’articolo pubblicato su Labsus a firma di Agnese Bertelli, facilitatrice, esperta di progettazione partecipata, processi deliberativi e Dibattito Pubblico, che ci offre un prezioso contributo sia descrivendo la nascita del Dibattito Pubblico (in Francia) sia la declinazione italiana allo strumento, fino appunto, alla revisione in atto.

L’esperienza francese, prende il via nel 1995, a seguito dei conflitti drammatici sorti intorno alla realizzazione della tratta alta velocità TGV Méditerranée, per offrire quindi un nuovo strumento che impegnava chi intendeva realizzare un impianto con un forte impatto sul territorio a confrontarsi pubblicamente.

Il Débat nasce, pertanto, per garantire il diritto dei cittadini a un’informazione corretta, completa, accessibile, il diritto a prendere parte alle decisioni su progetti che li riguardano. E, coerentemente, la Francia ha adottato una normativa molto strutturata e un organismo, la Commission Nationale Débat Public, soggetto terzo, autorità autonoma e indipendente rispetto a tutte le parti, che applica le regole rispondendo risponde a un unico interrogativo: cosa è più utile per consentire ai cittadini di appropriarsi del tema ed essere in grado di esprimere il proprio parere con cognizione di causa?

In Italia tutto questo non ha sortito effetto fino al 2016, quando la riforma del Codice degli Appalti promossa dall’allora Ministro Delrio, ha finalmente introdotto il Dibattito Pubblico nel nostro ordinamento. Purtroppo, sono poi serviti 2 anni perché vedessero la luce i Decreti Applicativi (2018) e solo nel 2020 è stata costituita la Commissione Nazionale Dibattito Pubblico. Dal momento dell’approvazione della legge, ci sono voluti, cioè, 4 anni per arrivare ad organizzare il primo Dibattito Pubblico italiano, a cui poi sono seguite le restrizioni covid.

Ora, la revisione del Codice Appalti affrontata in termini di una mera sburocratizzazione delle procedure, rischia di depotenziare del tutto questo strumento, chiudendo uno degli spazi più interessanti di democrazia partecipata.

Nelle acute osservazioni di Bertelli, di particolare rilevanza il parallelo tra Francia e Italia rispetto all’approccio al tema, ma altrettanto importanti i “rischi” che questa revisione può generare e le possibili strade alternative, già applicate su realtà regionali o territoriali particolarmente attente al tema della partecipazione dei cittadini. 

Per approfondire il tema vi invitiamo a leggere l’articolo integrale e gli allegati suggeriti.

 

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