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Il viaggio del “Commoning Europe” termina in Olanda

Tra condivisione di esperienze di cura dei beni comuni e arricchimento del "Glossario", il viaggio del progetto "Commoning Europe" raggiunge l'Olanda e si appresta a volgere al termine di Massimo Mannoni

Il progetto “Commoning Europe” è un interessante percorso, iniziato alla fine del 2020 e promosso dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+ con l’obiettivo di riscoprire il Bene Pubblico come fondamento dell’Europa.

In particolare, il progetto intende indagare diversi approcci ai beni comuni a livello europeo, in termini di relazioni tra Commoners e Istituzioni Pubbliche e in relazione al superamento di difficoltà legali, organizzative e di altro tipo.

Questa esperienza, coordinata dall’associazione “Biblioteca di Pace” di Firenze con la partecipazione del Comune di Campi Bisenzio, ha coinvolto partner provenienti dall’Olanda, dal Belgio, dalla Turchia e dalla Romania ed è stata seguita da Labsus per il suo carattere innovativo.

Attraverso l’articolo di Massimo Mannoni, proosegue l’attività informativa e divulgativa di principi e termini trasversali non solo alla definizione di beni comuni ma soprattutto alle pratiche che in ogni Paese consentono ai cittadini di impegnarsi per il bene comune.

Se in una precedente news, lo stesso Mannoni, ci aveva condiviso i risultati del convegno tenutosi a Firenze il 4 febbraio scorso sul progetto e sulla rete e diffusione

dei commoners, oggi il suo racconto si sofferma su alcune esperienze concrete, di cui ha fatto conoscenza in Olanda.

Si tratta, in particolare, di pratiche che hanno come centro di azione il quartiere, il rione, il neighborhood. Queste attività trovano una loro dimensione organica nel centro del quartiere, in edifici anche di proprietà privata, una specie di “Case Spa“, che mettono a disposizioni quei locali che non sono ancora entrati a far parte dell’edilizia popolare e che vengono gestiti da fondazioni per finalità sociali, per svolgere iniziative e attività riconducibili a tematiche disparate in quanto interessanti una molteplicità di individui con un background altrettanto eterogeneo per cultura, consuetudini, abitudini alimentari, credi religiosi.

Nell’articolo si descrive quindi il Meevaart,un centro di quartiere ad Amsterdam dove si trovano aree e locali per lo sport e l’esercizio fisico, per la ristorazione multietnica, per la scuola, nonché centri di incontro, uno spazio spirituale, un centro culturale, uno spazio all’aperto in cui la gente ed i giovani possono discutere di argomenti che loro scelgono di affrontare.

Si prosegue quindi con il De Geus, un altro centro che viene gestito dagli stessi abitanti del rione e i cui spazi sono messi a disposizione della comunità locale; e quindi con il De Vonk, la cui attività è concentrata sui cambiamenti climatici e le difficoltà abitative da affrontare, attraverso l’imprenditoria sociale.

In ognuno di questi centri, ciò che rileva Mannoni è che oltre alla collaborazione tra privati e soggetti pubblici, spesso si registra la presenza di numerosi tecnici esperti, che si mettono a disposizione di progetti e attività socioculturali.

A questi casi, nell’articolo si evidenziano parole e concetti che vanno ad integrare il Glossario europeo dei Beni Comuni, come Right of challenge, Sociocracy, crowding out.

Non mancano considerazioni più generali, maturate tra i giovani che partecipano al progetto, che comunque pur valorizzando le diverse esperienze maturate nei vari Paese rilevano la mancanza pressoché totale nel contesto europeo, di un riconoscimento giuridico dei beni comuni, così come invece presente nel nostro ordinamento.

Poiché gli stimoli e le informazioni sono così molteplici e varie, il nostro consiglio e di leggere questo interessante racconto che ci sprona a lavorare affinché la legislazione europea sia più cogente nella declinazione dei principi legati alla partecipazione ed alla democrazia rappresentativa.

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