In Toscana l’amministrazione condivisa è “fragile”: che fare?
Il 23 maggio si è tenuto a Lucca un incontro in occasione della presentazione del nuovo Rapporto Labsus “Le Scuole: da beni pubblici a beni comuni”. È stata l’occasione sia per fare il punto sullo stato dell’arte dell’amministrazione condivisa dei beni comuni in Toscana, sia per parlare di alcuni patti in particolare del territorio lucchese.
Circa il primo aspetto, sono stati resi noti i risultati di alcuni primi dati elaborati in una specifica indagine di Labsus da cui risulta che l’amministrazione condivisa dei beni comuni in Toscana gode nel complesso di buona salute, ma con note preoccupanti che ne compromettono il futuro. Note su cui forse vale la pena di riflettere, non solo per la Toscana, ma per indicare un percorso.
Parte da qui un interessante articolo, curato da Rossana Caselli per Labsus che, oltre a fornirci uno spaccato di dati significativi, come le percentuali di comuni toscani che hanno adottato un Regolamento sui Beni Comuni, con molto coraggio analizza anche le difficoltà riscontrate in termini di comunicazione ed organizzazione comunale per agevolare la partecipazione dei cittadini.
Nello specifico In Toscana sono ben 48 comuni, che hanno un proprio Regolamento, dato che rappresenta quasi il 20% dei comuni italiani. Siena è stato il secondo comune d’Italia ad assumere una tal decisione, subito dopo il Comune di Bologna.
Si tratta di comuni distribuiti in maniera abbastanza omogenea sull’intero territorio regionale: prevalentemente di dimensioni medio-piccole e di ogni colore politico che ricomprendono 9 dei 10 comuni di provincia e che riguardano una platea di 1.800.000 abitanti della Toscana, quindi, circa la metà degli abitanti.
Molto importanti i numeri che Caselli fornisce con percentuali e commenti analitici:
- siglati circa 700 Patti di collaborazione;
- coinvolto oltre 000 cittadini;
- 60% di Patti su beni materiali (spazi pubblici verdi, corsi d’acqua e immobili);
- 40% di Patti su beni immateriali (welfare, di comunità, cultura, educazione).
Per contro, l’indagine di approfondimento condotta su questi 48 comuni ha evidenziato:
- l’80%degli enti non offre alcun tipo di informazione sul proprio sito;
- non si comunicano in alcun modo queste esperienze sui territori, ai propri cittadini, spesso neppure all’interno dell’ente stesso, e non ci sono archivi che offrano esempi per diffonderne la cultura;
- solo 5 Comuni (il 10%) hanno un ufficio preposto sulla materia con un referente interno stabilmente assegnato in organico;
- prevale il rapporto diretto tra cittadino (singolo o organizzato) con un settore, un assessore o un funzionario, a scapito di standardizzazione e trasparenza.
Criticità piuttosto rilevanti che nel complesso, fanno definire a Labsus, l’esperienza "Toscana" in situazione di “fragilità”.
Rossana Caselli, non si limita però ad un vuoto elenco di problematicità ma, nel suo articolo, propone una serie di possibili soluzioni finalizzate a rendere “a bassa intensità di fatica” l’azione dei cittadini attivi, ma anche quella degli enti, facendo così uscire queste esperienze da un fenomeno “di nicchia”, per trasformale in normali prassi amministrative.
Se volete sapere quali azioni vengono suggerite, e anche capire il ruolo che la Regione stessa potrebbe giocare in termini di sollecitazione e promozione, leggete l’articolo integrale.