Un cammino-dialogo sulla cura dei beni comuni in Veneto
Se prendersi cura di spazi o un’area formata da grandi città, ha ormai procedure e patti collaborativi provati da tanti anni di esperienze: dalla rigenerazione di spazi pubblici alla cura del verde, dall’abbellimento di parchi giochi alla piccola manutenzione di scuole; cosa più complessa è declinare azioni di cura del territorio quando questa consiste in un’ampia zona formate dalla collina e dalla media montagna, spesso interessate da fenomeni di spopolamento, dal declino dell’attività agraria, dall’avanzata incontrollabile del bosco e l’alterazione degli originari paesaggi umani.
E’ questo il problema che si sono posti gli aderenti all’associazione EQuiStiamo di Vicenza, che attraverso il progetto di esplorazione e ricerca territoriale “Vaghe Stelle”, ha cercato un nuovo modo di approcciare la cura e la valorizzazione locale.
E’ lo stesso Pierangelo Miola, da più di trent’anni impiegato nel settore forestale pubblico nell’Ente Regione Veneto e ideatore del progetto, che attraverso un bellissimo articolo pubblicato da Labsus, ci racconta come un gruppo di 25 persone, con la compagnia di timide ma caparbie asinelle, in dieci anni abbia percorso oltre un centinaio di chilometri da Ovest verso Est attraversando più di cinquanta Comuni nel settore orientale del Massiccio del Grappa.
Un territorio vasto su cui è nata una modalità di ricerca non convenzionale e non strettamente accademica, che agli stessi associati piace definire “fatta con i piedi”. Una pratica di cammino comune, collegiale e conviviale che, nel rispetto della complessità paesaggistica e ambientale, e della dimensione storica e politica del territorio, cerca di ricostruire quell’incerta (e spesso, appunto vaga) costellazione formata da piccole realtà abitative, economiche, culturali e sociali che vanno nella direzione della responsabilità e della cura, immaginando nuove geografie del lavoro, dell’abitare e dell’arte di vivere. La ricerca, quindi, di una sostenibilità economica-sociale delle attività umane e sul valore dei patrimoni ambientali e culturali, la cui accezione di territorio diventa bene comune.
I bellissimi e poetici racconti di questa esperienza, ci offrono una prospettiva di come la cura possa trasformarsi da fatto resistente individuale ad alleanza condivisa, di come queste camminate riflessive abbiano suggerito possibili patti di custodia, aperti a tutti, senza distinzioni di radici e provenienza, affinché le storie di chi vive, lavora e abita sui greti della Piave, sui mulini del Tegorzo, su Schievenin, Falladen, Val di Prada, Cilladon e Pàoda, non vada perduta ma si evolva attraverso un’attenzione permanente, diffusa e coordinata.