Raperonzolo e la nostra torre
Continuano le “pillole” di racconti delle nostre maestre. Ecco l’esperienza di Rosaria Beatrice Zerbinatti.
“Ho usato la fiaba come viatico di un viaggio attorno alla loro stanza e dentro di loro. La fiaba è servita per parlare della paura, perché la paura l’avevamo tutti, in modo più o meno consapevole. E di fiabe di paura non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ho anche proposto una sorta di test misura-paura per scoprire che la maggioranza dei bambini e delle bambine di quinta B non si riteneva pauroso/a, ma anzi che molti di loro “non hanno paura di aver paura”.
Mi è sembrato un buon insegnamento, per noi adulti. Abbiamo lavorato molto utilizzando la lingua e le immagini e così la fiaba di Raperonzolo ci ha portato alla nostra personale torre, da cui non potevamo uscire e questo ci ha fatto pensare ai nostri desideri e ai nostri sogni e a quello che avremmo fatto, una volta fuori dalla torre. Mi è piaciuto scoprire insieme a loro i pensieri, quelli un po’ nascosti, che vogliono un attimo di pausa e di riflessione; mi è piaciuto chiedergli di cercare, all’interno delle loro case, oggetti apparentemente banali che però “zoomati” acquistavano subito una nuova dimensione; così i cellulari delle video lezioni sono serviti per fotografare e inviare e trasformare immagini e disegni, per scoprire che anche quello che è apparentemente banale acquista forza se lo sguardo di chi guarda cambia la prospettiva.
Poi naturalmente c’erano le finestre, lo sguardo sul fuori. Con un po’ di tristezza ho visto finestre che davano su altre case, su altre finestre, ma per fortuna i bambini vedono anche cieli con enormi stelle e montagne innevate e nuvole che viaggiano, ma vedono anche finestre che mostrano luoghi che paiono irraggiungibili e lontani, luoghi sognati.
Che dire, la scuola è fatta di quotidianità e di relazione, e la relazione è condizione essenziale per ogni didattica”