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Una mappa per fare comunità e valorizzare i Beni Comuni

Uno strumento per stimolare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali sui luoghi che abitano, attraverso la rappresentazione del patrimonio paesaggistico e culturale

Che cos’è una mappa di Comunità e a cosa serve?

Parte da queste semplici domande un interessante articolo di Vita - il portale della Sostenibilità sociale, economica e ambientale, voce del non profit – che raccontando la nascita di questo strumento e le metodologie applicative, ci illustra alcune significative esperienze presenti sul territorio nazionale.

E' proprio partendo dalla mappatura di comunità che sono stati generati vari progetti, spesso legati alla rigenerazione urbana ma non solo, finalizzati alla valorizzazione del concetto di Beni Comuni intesi, in senso generale, come patrimonio materiale ed immateriale di un territorio da fruire e salvaguardare per le future generazioni: dal paesaggio, ai monumenti, fino alla storia ed alle tradizioni.

Lo strumento è nato negli anni ’80 del secolo scorso, da un’idea dell’associazione inglese, Common ground. 

“Lo scopo iniziale che si proponevano i suoi inventori”, spiega Nadia Carestiato, docente di geografia umana all’Università di Udine “era il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali riguardanti i luoghi in cui vivevano, partendo dall’identificazione delle loro caratteristiche principali, dal punto di vista paesaggistico e architettonico, ma anche da quello della cultura e delle tradizioni. Vengono rappresentanti gli elementi macroscopici, come i campi o le industrie, ma anche quelli più minuti, come il tipo di colture seminate storicamente in un luogo”.

Insomma, una mappa di comunità è un mezzo per delineare la local distinctivness, quello che caratterizza una zona rispetto a un'altra, in modo da stabilire delle direttrici per lo sviluppo futuro a livello locale.

Questo strumento di partecipazione è stato importato in Italia dagli ecomusei, istituzioni che si occupano di far ricerca, divulgazione e valorizzazione dei beni naturali e culturali dei diversi territori.

  “Una mappa di comunità è uno strumento e allo stesso tempo un processo: permette agli abitanti di un territorio di riappropriarsi dei luoghi in cui vivono attraverso la loro rappresentazione” continua Nadia Carestiato, che assieme alla collega Patrizia Quattrocchi, antropologa, ha gestito un progetto per la realizzazione di una di queste mappe, all’interno di un’iniziativa interdipartimentale dell’ateneo sul tema dell’invecchiamento attivo. Un progetto interessante e innovativo che ha fatto dell’intergenerazione il suo punto di forza.  A disegnare la mappa sono stati infatti alcuni ragazzi del liceo artistico statale Giovanni Sello di Udine, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, coinvolgendo persone di tutte le età, dagli anziani dell’Università della terza età ai laureandi.

I partecipanti, suddivisi in sottogruppi, hanno lavorato nelle diverse aree urbane, dal centro alla periferia, da prima cercando un linguaggio comune, poi realizzando tre laboratori: uno sul landscape storytelling, uno sulla georeferenziazione e uno sulla realtà virtuale immersiva.

E’ nata così la mappa di comunità con i vari elementi della città che saranno poi digitalizzati. Il disegno, scansionato, diventerà interattivo; chiunque potrà consultarlo, anche nella sua parte narrativa, accendendo dal portale dell’Università o attraverso un QR code.

L’idea è di farne uno strumento aperto ed implementabile, attraverso un aggiornamento continuo, finalizzato al coinvolgimento di nuovi soggetti “perché la sua realizzazione non dovrebbe essere intesa come la conclusione del processo, ma come una fase fondamentale di un cammino che deve rimanere aperto”.

A questo proposito ricordiamo che diverse esperienze, realizzate anche in Emilia-Romagna, dopo la co-progettazione di mappe di comunità, hanno generato poi emblematiche spin off. E’ il caso di Cra.teri, progetto multidisciplinare di mappatura e rigenerazione culturale dei nove comuni della provincia di Modena coinvolti dal Sisma 2012, o In Loco che attraverso il “Museo diffuso dell’abbandono” ha mappato luoghi privati e pubblici del territorio romagnolo, accomunati dallo stato di abbandono, valorizzandoli con specifici progetti dedicati.

Se volete comunque approfondire l’esperienza dell’Università di Udine, arricchita dalle riflessioni condivise dell’Ecomuseo delle Acque Gemonesi e dell’Ecomuseo dei terrazzamenti e della vite e quello della pastorizia di Cuneo, vi rinviamo all’articolo integrale di Veronica Rossi.

 

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ultima modifica 2022-04-20T21:39:35+02:00
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