Niente su di noi, senza di noi
Il motto “niente su di noi, senza di noi“ è uno dei pilastri su cui si fonda il movimento internazionale per i diritti delle persone con disabilità. La rivendicazione di base è quella di partecipare in tutti i processi decisionali che riguardano la disabilità, in modo che questi considerino il punto di vista di coloro a cui le decisioni sono destinate. Questa idea, tanto semplice quanto rivoluzionaria, dovrebbe valere per ogni categoria sociale: donne che sviluppano politiche femminili, bambini che partecipano a processi educativi, fino a cittadini che si prendono cura di beni pubblici.
Quanto descritto richiama il principio della sussidiarietà orizzontale, che considera la partecipazione come un diritto per i cittadini e un valore aggiunto per ogni tipo di politica democratica e relazionale. Tuttavia, questi principi valgono per tutti?
Partendo da questo assunto e dalla domanda conseguente, Marcello Sacco, in questo interessante articolo per Labsus, oltre ad offrirci un importante spaccato su trattanti, convenzioni internazionali e figure ed organismi di tutela dei diritti delle persone disabili, ci sollecita ad una riflessione sul senso più profondo della partecipazione riferita alle persone con disabilità, che non deve essere interpretata come una concessione bensì implementata come un diritto acquisito e valido sempre.
La partecipazione, ci sottolinea l’autore, implica una selezione fatta da chi ha il potere di includere su chi abbia titolo a partecipare. Questo comporta che l’accordo a partecipare ha bisogno di un riconoscimento culturale e politico. Se le persone con disabilità vengono approcciate in modo paternalistico, ne segue che i decisori si sentono in dovere e autorità di prendere decisioni nel presunto loro “migliore interesse” e senza includerle. Si confonde in questo modo disabilità con incapacità e si preclude il diritto alla partecipazione.
Il nuovo paradigma della disabilità vede l’aspetto disabilitante in una società che non sa accogliere piuttosto che in determinate caratteristiche individuali. In altre parole, una persona sulla sedia a rotelle non è disabile in sé, ma lo diventa a causa dell’incontro con barriere architettoniche. Le barriere possono essere anche attitudinali. Per esempio, l’esclusione dai processi decisionali disabilita la persona attiva più del presunto motivo per cui viene negata l’inclusione. Di conseguenza si può affermare che ogni politica partecipativa abilita e valorizza le persone nel riconoscerne l’appartenenza sociale. Si ribadisce così che «il principio di sussidiarietà orizzontale e il connesso favor per l’autonoma iniziativa dei cittadini possono esser letti […] in funzione della generale ‘missione’ […] del pieno sviluppo della persona sociale».
A queste riflessioni, Marcello Sacco, propone anche alcuni esempi di percorsi partecipativi e patti di collaborazione, nati tra amministrazioni pubbliche e associazioni impegnate sul tema della disabilità, distinguendo tra chi ha operato includendo associazioni e cittadini disabili nella progettazione dei percorsi e non semplicemente quali eventuali target di un progetto già definito.
Una discussione molto attuale su cui viene puntato un riflettore, anche in considerazione delle azioni che amministrazioni ed enti pubblici stanno predisponendo per declinare gli impegni di Agenda 2030 che, lo vogliamo ricordare, ritiene la partecipazione delle persone con disabilità, intesa come bene comune, un obiettivo prioritario, non solo per la loro vita e i loro benessere ma per l’apporto, spesso inespresso, che potrebbero offrire allo sviluppo economico e sociale.